…la linea rappresenta

 

…una rottura col ritratto in senso tradizionale, ed è necessaria al quadro tanto quanto la figura ritratta, che perde il primato di soggetto del dipinto, ma diventa l’occasione per rappresentare un’emozione, un’idea.

Un pensiero. Ed un pensiero è spesso combattuto, tormentato, diviso in due, proprio come il dipinto.

 

C.S. ’06

…dei ritratti di intima verità

...delicati e velatamente disegnati, ma anche dipinti, tesi ed espressivi: l’immagine sognante del ritratto di due amiche, un ragazzo con il volto raccolto tra le mani.
 …la sua pittura vuole penetrare il mistero delle cose, cogliere l’essenza della forma per svelarla in una luce del tutto nuova.

A.B. ’06

Tra luce e tenebra, vita e morte, “Es” e “Io”

❝ Vi è nella pittura di Giulia Rigoni un continuo dialogo tra luce e tenebra, vita e morte, “Es” e “Io”. E’ lo stesso dialogo che intrattiene l’uomo nel viaggio terreno, che lo cambia in continuazione, lo trasforma; è un tragitto artistico spinto da leggi inconsce che irrompono nell’io calibrato e ubbidiente alle regole della socialità, viaggio fatto di sfregi e di tormenti.

Le figure di questa pittrice emergono dalla polvere del tempo, che le ha trasformate facendone uscire i tratti più sublimi quanto quelli più reconditi e animaleschi, dove le viscere più profonde dell’animo umano erompono come da una spaccatura della terra, grazie alla loro forza di un movimento tellurico. Nella sua pittura, questo lato irruente si fa figura che emerge dall’ombra dell’essere e si trasforma in luce: un raggio di razionalità quanto di purissimo istinto.

Esplorare questa dualità tra impulso e ragione, luce e ombra, porta questa pittrice a voler trovare il punto esatto dove il chiarore diventa tenebra e dove quest’ultima ritorna nuovamente a essere luce.

Sono visioni i suoi quadri, che ci portano nell’ombra delle nostre esperienze terrene, quelle vissute e quelle che potremo ancora sperimentare nell’affanno e nella gioia della vita.

Ed è proprio nell’opera Laotong, dove il bacio tra due maschere uguali, che si guardano in un perfetto equilibrio mostrando di essere una sola anima divisa in due corpi, che si manifesta la sua filosofia pittorica; un voler dimostrare l’essere come unica anima col mondo, un voler cogliere l’Anima Mundi che accomuna le nostre esistenze, costruite su forze arcane e alchimie misteriose. ❞

Luca Baù, dicembre 2011


La consapevolezza del fugace, un’istintività primordiale e inviolabile, il bisogno di dissolversi in e per l’”altro”, e l’impossibilità di attuare tale trasformazione.

❝ Ciò che caratterizza le opere della pittrice è forse la necessità della passione? Una sfera emozionale che ci fa conoscere la sofferenza, gli spasmi dei corpi lacerati da profonde tensioni come l’amore, la morte, la nascita e o l’incertezza del futuro?

L’indagine artistica di Rigoni si può tradurre in una radiografia dell’anima attraverso l’oniricità delle immagini?

Ebbene sì, i corpi ritratti con sensualità ma fermezza, creature riservate, essenziali e taglienti, donne vive nel loro essere profondo, ma allo stesso momento severe, che nella loro disinvoltura vengono gettate, tra urla soffocate, nel silenzio della loro anima; ritratti di una profonda dignità e rilevanza psicologica, stretti in un’unione forte, in abbracci unici ma letali.

Un sottile filo rosso le accomuna: la passione!

E non a caso si parla di rosso, colore usato per esprimere erotismo ma soprattutto violenza, uno spazio in cui è possibile sondare le passioni e l’amore represso. I colori intensamente freddi mettono così a nudo l’inconscio, che assume una profondità dai contorni emozionali molto marcati.

Rigoni lo vuole sottolineare con il loro fluire, un reading forte che demarca il bisogno di uscire dalla tela, di urlare questi spasmi che, grazie ad un linea nervosa, contorcono la materia fino ai corpi e alle mani: le linee sembrano denunciare il dolore, la sofferenza, la tensione, mentre i colori tendono a descrivere la malinconia dell’anima.

Il tratto nitido, secco, non concede spazio al decorativismo, tutto deve riportare alla linea dei corpi e al colore usato con tinte fortemente emozionali.

Questi corpi così presenti sulla scena, in realtà confondono la spazialità, le loro pose inquiete sembrano essere atemporanee, ma pur tuttavia perfettamente consapevoli a volersi mostrare senza falsi pudori, a vivere la scena fino all’ultimo istante, prima di scomparire per entrare nel vortice violento dell’ignoto.

Le paure innate dell’uomo vengono istintivamente tracciate sulle tela grazie a tagli di luce, a fasci di colore e a linee pittoriche molto vicine alla pittura cinque-seicentesca, ne risultano la ricerca dell’anatomia e le linee ben marcate a definire l’esistenza e la drammaticità del tempo. Questo sembra essere avulso dalle opere, non ha un’indicazione precisa, in realtà esso è sempre presente come sfuggevolezza dell’attimo, dove nulla è eterno.

Ed è proprio in questo contesto che lo spettatore e la stessa pittrice si rivolgono alla tela come solitari voyeur, lettori che interpretano, che decodificano psicanaliticamente la voglia di ribellione, l’angoscia esistenziale che lascia i protagonisti delle tele in balia dell’ignoto, costretti ad affrontare le proprie paure.

E così il nudo accademico, simbolo di ideale classico, e il ritratto di genere, con una funzione sociale, vengono scardinati per lasciare il senso di repulsione violenta al prestabilito e al codificato: si crea così il varco verso ciò che l’uomo non riuscirà mai ad assoggettare: l’ignoto. ❞

Francesca Chiesa, Novembre 2010

Sulla soglia di una dimensione parallela

❝ Di fronte ai dipinti di Giulia si ha l’impressione di sostare sulla soglia di una dimensione parallela a quella che solitamente siamo stati abituati a conoscere: un passaggio che ci rivela direttamente le dinamiche del sogno e delle parti più profonde della mente in cui i dati percettivi si mescolano, più o meno violentemente, con quelli cognitivi; si tratta di un mondo nascosto che vuole uscire allo scoperto e che per farlo assume delle forme attraenti, a volte inquietanti, che invitano l’occhio di chi guarda a fermarsi a contemplarle. Quelle forme antropomorfe, dai violenti contrasti di luce che popolano le tele dell’artista, rappresentano l’incarnazione di quei concetti inconsci che non possono essere definiti scientificamente, ma che premono con forza dall’interno dell’essere. Volti, arti, interi corpi emergono dalle tenebre degli sfondi per fissare nella trama della tela un momento di quell’aggrovigliata matassa di tensioni e sentimenti che scorrono nell’anima più velocemente del sangue nelle vene, un momento e che solo per pochi istanti mantiene una sufficiente dose di chiarezza prima di essere travolto e sostituito da quello successivo, inevitabilmente diverso.

Dai primi agli ultimi dipinti il tema dominante è la figura umana che viene interpretata secondo modalità diverse che rispondono alle esigenze espressive e comunicative dell’artista, mai uguali tra di loro. É pur vero che alcuni gesti, tradotti in vere e proprie iconografie, compaiono più frequentemente di altri nelle opere di Giulia, ma è altrettanto vero che i significati e gli stati d’animo che essi veicolano divergono tra di loro inequivocabilmente: un volto nascosto tra le mani allude tanto all’angoscia e alla disperazione che albergano nelle zone più recondite della nostra interiorità, quanto al silenzio imposto (o autoimposto) che conduce alla cecità e alla sordità, all’incapacità di vedere o sentire qualsiasi cosa estranea alle nostre stesse emozioni. Lo stesso si può dire per quelle figure femminili in pose lascive, sensuali, abbandonate nelle tenebre con il capo reclinato all’indietro che costituiscono uno dei soggetti più frequenti nel corpus di opere della pittrice: esse esprimono l’inesorabile abbandono della mente e del corpo a pulsioni spesso incontrollabili, come l’amore (allo stesso tempo fisico e platonico),il piacere, il desiderio per qualcosa che può essere vagamente percepito (come nella bellissima immagine di Giuditta che premedita l’omicidio di Oloferne), ma anche la sofferenza e il tormento dell’anima.

Anche il campo del ritratto è stato spesso affrontato da Giulia: ritratto che però non corrisponde ai tradizionali criteri con i quali si è abitualmente portati a considerarne il genere. I volti ravvicinati, spesso tagliati, divisi da pennellate più o meno violente si spingono oltre alla semplice resa delle fisionomie dei soggetti per diventare specchi della loro psiche. Le copiose lacrime o le iridi rosso sangue, gli occhi chiusi verso l’esterno ma aperti verso l’interno, gli sguardi intensi e penetranti: sono queste le formule maggiormente adottate dall’artista per comunicare senza diaframma alcuno le sensazioni dipinte allo spettatore.

Se i colori caldi o freddi costituiscono una sorta di termometro con cui misurare letteralmente la temperatura dei sentimenti e dei fotogrammi di coscienza rappresentati, i titoli che l’artista attribuisce ai suoi lavori sono altrettanto illuminanti di quello che, attraverso la pittura, intende esprimere.

A condurre poi per mano lo spettatore all’interno di questo flusso interiore ci pensa quel sottile, a volte non subito individuabile, filo rosso che sembra costituire la vera firma dell’artista. Questo elemento, vero e proprio leitmotiv nell’opera di Giulia, trovandosi trasversalmente in dipinti dal soggetto diverso, permette di compiere alcune osservazioni sul significato che lo stesso colore rosso assume di volta in volta, simboleggiando non solo violenza, ma anche amore, passione, libido e vita. A volte tale filo rosso assume una connotazione astratta, sviluppandosi sulla superficie della tela come se avesse vita propria dividendone lo spazio nettamente, altre volte si incarna in qualcosa di più concreto e tangibile, come un legaccio o un filo spinato che sembrano trattenere o minacciare le figure dipinte.

Nelle ultime opere elaborate dall’artista è possibile riscontrare un significativo cambiamento d’interesse nei confronti dello sfondo. Quest’ultimo, se nelle opere precedenti era spesso sopraffatto dalla presenza incombente delle figure umane e dei loro sentimenti, della cui espressione però a volte contribuiva, in quelle recenti assume un’importanza diversa, facendosi tutt’uno con i soggetti rappresentati. L’utilizzo di materiali diversi, come la carta e i tessuti, impiegati assieme al colore attraverso la stesura di molteplici strati sovrapposti, ha permesso a Giulia di riflettere ulteriormente sul ruolo dello sfondo, e sulle possibilità estetiche ed espressive che esso può offrire legandosi ai volti e alle figure antropomorfe che continuano a popolare le sue tele. ❞

Giulio Pesavento, gennaio 2014

Pittura espressiva: la forza comunicativa

❝ La giovane pittrice Giulia Rigoni, lasciatasi quasi del tutto alle spalle la formazione accademica, sta seguendo un percorso artistico del tutto individuale, che la sta portando ad unire tecniche “classiche” come la pittura ad olio e a tempera, a soggetti resi in maniera forte e visionaria, quindi certamente più attuali.

Il tema che predilige è senz’altro la figura umana, dal ritratto al nudo, ma la posa scelta non è mai rigida o convenzionale, anzi, la pittrice va proprio alla ricerca di atteggiamenti forti e coinvolgenti.

Lo scopo dichiarato è quello di realizzare una pittura espressiva: la forza comunicativa che emana da questi quadri, serve in primo luogo proprio alla pittrice per tentare di sondare il lato più cupo e profondo dell’essere umano.

Per ottenere questo risultato ricorre spesso all’uso del taglio fotografico e di fasci di luce taglienti, che isolano la figura stagliandola sul fondo. Le sue opere sono caratterizzate da un colore dominante, oppure dalla contrapposizione di due toni contrastanti o complementari; la scelta di questi colori non è casuale, ma risponde al sentimento che traspare dalla figura ritratta, rendendo l’insieme originale e soprattutto significativo.

Lo stile di Giulia Rigoni è costantemente in fase evolutiva, tanto che le sue ultime prove stanno volgendo verso una pittura meno realistica, e quindi più libera nelle forme e nell’uso dei colori, proprio perché mirata all’espressione di stati d’animo forti.

Molte delle sue opere sono poi accomunate dalla presenza imponente ed inequivocabile del nero. L’elemento Nero ha una valenza significante che si collega alle pose energiche e talvolta disperate di cui fa uso la ritrattista. L’effetto di luce intenso che ne risulta, seleziona i particolari dandoci la sintesi dell’attimo in cui si svolge l’azione.

Il nero è, oggettivamente, l’ombra della figura, ma a livello soggettivo può rappresentare anche il vuoto, la paura, l’angoscia della persona rappresentata. Osservando attentamente i dipinti, però, si può notare come questi siano ambigui: in alcuni ritratti, non si può dire con sicurezza se la figura stia piangendo o solo pensando. Ugualmente, le posizioni articolate di certe figure, potrebbero essere dettate da uno scatto di disperazione ma anche da un movimento fine a se stesso.

Uno dei temi studiati dalla pittrice è, infatti, la ricerca del mistero e dell’insondabile che svelano, ma non manifestano, i soggetti che dipinge.

Unendo questi elementi, Giulia Rigoni crea una pittura cupa, problematica, che rompe gli schemi pittorici uscendo dalla tela ed investendo lo spettatore con un forte impatto emotivo. ❞

Chiara Signorini, 2005

Più di un ritratto.


❝ Quante volte capita di soffermarsi davanti ad un quadro a chiedersi che cosa volesse esprimere realmente l’artista? Spesso ci si domanda quale sia il vero significato di un’opera d’arte, specie se contemporanea.

In questo senso, la ritrattistica è uno dei generi che più di altri trae in inganno perchè si è portati a pensare che il soggetto non possa essere altro che la figura rappresentata. Ma spesso non è così, o almeno non solo, e la pittura di Giulia Rigoni ne è un valido esempio.

Nei suoi primi ritratti si può ravvisare una netta propensione al disegno, al realismo della persona ritratta, anche se già l’aspetto coloristico va oltre, con i contrasti marcati dei visi emaciati stagliati su fondi scuri, o con taglienti selezioni di luce.

La sua ricerca si è poi evoluta verso un uso quasi espressionistico del colore, che narrava la tensione del momento in cui le figure erano colte. È in questa fase che troviamo corpi tormentati colpiti da fasci di luce blu, rossa, o da altri colori mai scelti casualmente, ma che accompagnano la composizione in modo inequivocabile.

Arriviamo quindi alle ultime prove della Rigoni, caratterizzate dal filo conduttore della linea che divide la tela in due zone coloristiche diverse. Questa linea rappresenta una rottura col ritratto in senso tradizionale, ed è necessaria al quadro tanto quanto la figura ritratta, che perde il primato di soggetto del dipinto, ma diventa l’occasione per rappresentare un’emozione, un’idea. Un pensiero. Ed un pensiero è spesso combattuto, tormentato, diviso in due, proprio come il dipinto.

I ritratti della Rigoni rappresentano quindi le Emozioni delle persone, più che le persone stesse, diventando perciò ritratti universali, attraverso i quali chiunque può riconoscersi, non solamente la persona ritratta.

A conferma di questo basti notare che non è mai mostrata la fisionomia dei volti, perché questi si celano sempre dietro ombre, mani, o sono ripresi solo in parte.

L’intento della pittrice non è più solo l’esecuzione di un ritratto in senso tradizionale, ma il ritratto è ora quel punto di partenza che ci conduce attraverso un percorso più coraggioso, meno grafico e più pittorico, verso l’inquietudine e l’intima dicotomia dell’uomo.

Alla luce di questo, avrebbe ancora senso nella nostra epoca fatta di fotografie, cinema e televisione, un ritratto che dipinga soltanto Una persona? ❞

Chiara Signorini, Dicembre 2006


Gli occhiali speciali


❝ L’artista deve saper guardare, osservare il mondo per meditare quelle immagini che dalla pittura verranno svegliate dal sonno.

Il lavoro di Giulia Rigoni è quasi esclusivamente dedicato alla figura, alle sue pose, ai suoi misteri e ai suoi segreti. L’approccio a questo mondo arriva al termine dei suoi studi d’arte che portano il suo talento a confrontarsi con il difficile esercizio del ritratto e della posa.

Emergono dei ritratti di intima verità, delicati e velatamente disegnati, ma anche dipinti, tesi ed espressivi: l’immagine sognante del ritratto di due amiche, un ragazzo con il volto raccolto tra le mani. Ma il viaggio creativo dell’artista non si ferma qui, la sua pittura vuole penetrare il mistero delle cose, cogliere l’essenza della forma per svelarla in una luce del tutto nuova.

Attraverso diverse tipologie di espressione continua la sua indagine sulla figura: la quiete e la tensione del corpo umano in pose mai statiche in un momento di scena quasi mai fermo e senza tempo.

Anche la ricerca del colore fa parte integrante di questo processo e muta dalle campiture monocrome a veloci segni gestuali dove l’artista guarda attenta- mente la lezione espressionista di Schiele e le tensioni cromatiche di Munch.

É come se Giulia si fosse dotata di occhiali speciali con i quali guarda, osserva e rivela con grande energia creativa l’essenza delle cose: gli sguardi, le pose, i dettagli, le espressioni; senza mai stancarsi di cercare in nuovi frammenti di immagine un proprio lessico pittorico.

Antonio Busellato, Asiago, inverno 2006

L’esperienza del limite.


❝ Giulia Rigoni ha intrapreso la via meno comoda per conquistare un suo personale posto nell’orizzonte dell’arte. La sua pittura, infatti, tratta di temi difficili, sentimenti tormentati, amori di vita e letali, nodi indissolubili e sangue onirico, desideri in fuga mai sopiti. E li propone in termini problematici: per chi osserva e per chi deve commentare.

Partita da una ritrattistica accademica e mimetica, con il tempo Rigoni ha investito il suo lavoro di un nuovo fine, alieno alle dinamiche del fast-food del mercato e tutto teso, invece, alla ricerca di una autonoma cifra stilistica consentanea alla sua poetica. Rigoni sa di rischiare la solitudine poiché la sua pittura non diletta, non rasserena i sensi e i sentimenti ma si impone, piuttosto, di potenza ad esigere un’attenta e appagante lettura con la quale visitare le segrete stanze della coscienza.

Ma la vera arte è difficile come difficile è la vera bellezza. Bellezza, quella della pittura della Rigoni, da ribadire sulla profondità di un’indagine introspettiva e non solo sul godimento epidermico dato dal comparto cromatico. In questo senso il colore espressivo/espressionistico, bollente e passionale ma più spesso freddo e tagliente, ci accompagna alla scoperta di verità svelate e insolubili: un amore disilluso e rancoroso, la fragilità di una vita appesa ad un filo, l’identificazione nel volto dell’alterità e il disincanto della diversità, la confusione di un enigma, il silenzio della sofferenza, l’attesa di una scelta, la scelta di un’attesa.

Sono sciabolate, fluide e graduali, apparentemente appena controllate dall’artista, alla cui anima si legano intime quasi fossero fisiche dilatazioni del suo corpo. Innegabile, infatti, risulta il senso di una restituzione fortemente corporea e prettamente sensistica di temi così intensi. E questo è un fatto che merita plauso: pur se essi nascono a seguito di una riflessione indaginosa e consumata, questi temi ritornano alla tela o alla carta carichi di frenesia, in velocità, soprattutto concessi all’istinto dell’artista. Ecco, Rigoni segue il proprio istinto. Lo lascia libero di agire. E per quanto la pittrice sottoponga le forme e i colori al vaglio dell’equilibrio mentre un impianto di-segnico e di-segnato strutturi le figure per connotarle in maggior solidità, ciononostante sono i sensi a dominare e l’istinto dell’animo ad orchestrare gli effetti pittorici che, vividi, si colgono in una sofferta visionarietà, in una sorta di tragica rêverie incompiuta e in stasi.

A partire da un’ispirazione pensata, quindi, un complesso di sensazioni si riversa sulla pelle della pittura e in differenti tecniche (olio o acrilico su tela, olio o acrilico su carta, acrilico su tavola) talché quell’esperienza iniziale della pittrice sollecita ad un di più, oltre il conforme, oltre la regola, partecipando appieno dello statuto dell’arte: alternativa da una parte alla dogmaticità della religione e dall’altra alle asserzioni definitive della scienza. E così quella stasi delle forme fermate si abbandona all’estasi. Lo spazio e il tempo perdono la loro coordinazione per confondersi in uno stato a-spaziale e a-temporale, grazie al quale la dominante figura umana, emblema dell’essere, guadagna l’universalità. L’istinto, pertanto, non è l’istante. Non è l’ hic et nunc di un’impressione annotata. Ci introduciamo, piuttosto, nell’esperienza dell’illimite dove nulla è per sempre.

La fine di un giudizio, in realtà, è solo l’inizio di un nuovo conflitto, di fronte al quale non troviamo una risposta risolutiva, un necessario esito conclusivo. Certo, due fronti si oppongo segnalati nelle opere anche da un rivolo di colore più evidente. Ma nessuno dei due campi prevarica sull’altro secondo una dialettica che si riposiziona continuamente. Semmai si limitano. Ma il nodo, quello del conflitto interiore, non si scioglie ed il limite dell’esperienza dell’uomo tocca allora un infinito rimasto insanabile.

A questo ci sollecita la pittura di Giulia Rigoni: attraverso l’esperienza del limite del nostro sentire, scoprire la verità di quei nodi esistenziali indissolubili con cui indissolubilmente è legata per sempre la nostra vita. ❞

Fantinato Mauro, settembre 2011